Quattro domande a Salvatore Ritrovato, poeta e critico letterario, su La differenza della poesia (Puntoacapo, Novi Ligure 2009).
La differenza della poesia è un titolo che incuriosisce molto. Perché e da che cosa è “differente” la poesia?
La poesia moderna è differente da ogni forma di comunicazione, letteraria e non letteraria, innanzitutto per motivi commerciali: non vende, o vende pochissimo. La tiratura di un libro di poesie sta, in genere, su qualche centinaio di copie. La maggior parte delle quali sono regalate o distribuite gratuitamente a specialisti, in un circuito quasi esclusivo, nel quale però non impossibile entrare. Non che ai poeti non piaccia vendere, beninteso, ma sanno bene che quel che scrivono finirà nelle mani di lettori molto selezionati. È possibile, allora, che nella società delle comunicazioni di massa esista un genere non di massa, e in un’economia dominata dalla logica del profitto esista un prodotto che non incrementa alcun capitale? Forse la poesia è morta da molti anni e non ce ne siamo accorti? O abbiamo bisogno di un genere anacronistico qual è la poesia per assaporare per un attimo le parole, salvarle dal vaniloquio mediatico e riascoltarle in silenzio, così come si può desiderare di immergersi in un bosco, lontano dal brusio della città, per sentire il respiro della terra? Ecco, la differenza della poesia: nel senso di ‘differire’ l’oblio cui l’usura condanna il linguaggio. Forse pochi avvertono e manifestano questo bisogno, e man mano che il brusio cresce pare sempre più difficile riuscire a scrivere poesie che restano. Il brusio si insinua anche tra i versi, le parole, i silenzi della pagina.
Il libro è composto di diversi saggi, scritti nell’arco di anni che va dal 2003 al 2009, ed ha talvolta il sapore di una ricerca in atto, non sistematica ma istintiva, provvisoria e non definitiva. È così?
Sì, è così. Non credo che si possa ambire a un quadro esauriente della letteratura contemporanea. Anzi, ogni quadro esauriente è destinato allo scacco. Lo scrittore che oggi sembra un grande, domani sarà piccolo; e viceversa. Io, per natura istintivo, ho imboccato la via della ricerca, non quella dell’omaggio calcolato a quella scuola o a tal maestro. Non mi piacciono gli encomi, i manifesti programmatici, i pamphlet polemici. Mi piace la schiettezza, che però non sempre paga. Ogni breve saggio, ogni intervento testimonia un momento del mio percorso: la riflessione sul “canone”, il tema del “genocidio culturale”, l’esperienza della poesia, l’impegno, l’etica, la bellezza, il Mezzogiorno, il realismo, la lirica, la letteratura in pericolo, ecc. Torno a esporre, in un polittico coerente, il mio piccolo laboratorio di idee, che forse può suscitare nuove riflessioni in merito alla “differenza” della poesia.
Tu dici che si tratta di saggi nati fuori dall’impegno accademico, ma la tua scrittura è densa. Bisogna leggere lentamente, con attenzione, e annotare, sottolineare. Non dico che sei difficile, anzi sei limpido, cristallino. Come questo passo che mi ha colpito: «…il poeta è un uomo come tutti gli altri: coltiva la sua lingua nello stagno misterioso del parlato, non vive in un mondo diverso da quello in cui vivono i suoi simili. Tuttavia, egli usa la medesima lingua in maniera diversa, con la consapevolezza della sua totalità linguistica e stilistica, e, quindi, con l’obiettivo di fissare nelle parole, non per fini pratici ma estetici, l’esperienza della vita» (p. 50).
Scrivo come parlo, anzi come penso. Il passo che tu citi è nel capitolo Poesia ed etica della bellezza, e viene al termine di una dotta citazione di un passo del Naugerius, un trattatello rinascimentale sulla poesia di Girolamo Fracastoro. Che cos’è la ‘bellezza’? Questa parola che sentiamo risuonare decine di volte al giorno in televisione e nelle strade, sventolata nei centri estetici come l’esito provvisorio ma ben remunerato di un trattamento epidermico e somatico che rallenta l’invecchiamento della nostra carcassa – ebbene, questa parola può scardinare molte certezze, e diventare ‘straniante’, aprire le vie di un’etica nuova, che ci impone di abbattere un edificio abusivo o di chiedere la sistemazione dei giardini comunali nel tessuto urbano. D’altra parte, una bella velina non vale quanto una bella poesia. Non perché la velina si vedrà invecchiare, e la poesia no, ma perché essa esprime la legge dello share televisivo, ed è inautentica. Usare la parola “bella”, in questo caso, significa svalutarla, disumanizzarla.
Il libro è anche un invito a leggere la poesia?
Diciamo che è un invito a cercarla nei libri, nei versi dei poeti, nelle pagine degli scrittori. Cioè in coloro che hanno, con un’intuizione potentissima, e con un lavoro strenuo e costante di giorni, fissato uno stato d’animo eterno. Non è un caso che torniamo ancora a leggere, dopo secoli, opere come l’Eneide, mentre restano solo pallide tracce degli atti politici e giuridici dell’Impero Romano. La poesia è la scommessa più alta che il linguaggio umano compie sulla morte. Se finisce abbiamo accettato di perdere ogni speranza di immaginare il nostro futuro.
Puoi dedicarci dei versi?
Volentieri, ma non chiedermi dei miei. Questi vorrei che li scegliessi tu. Se mi consenti piace leggerti quelli di Giancarlo Majorino, che l’anno scorso ha pubblicato un poema profondo e drammatico, di dimensioni dantesche, Viaggio nella presenza del tempo, e che in questi giorni presento all’università Urbino:
“quando, meriggio a letto
t’addormenti e fili parapetto
rimango al buio con il corpo dilatato
quindi, stanco del nulla e della solitudine
mi giro e al tuo conosciuto profilo di carne aderisco mi appoggio
incollandomi mentre continui il sonno
se però dopo un attimo o mezz’ora
mi rigiro e inizio, attento a non far rumore
l’uscita dalla coperta giungono una mano
e la tua voce, dove vai? che fai?
aderivo, prima, a te – t’ho sentito
non abbandonarmi, muta, non mi lasciare”
Salvatore Ritrovato (1967) insegna letteratura italiana all’università di Urbino dove vive. Collabora a diverse riviste militanti e a pagine culturali. Ha curato l’antologia tematica “Dentro il paesaggio. Poeti e natura”. Ha pubblicato tre raccolte di versi: “Quanta vita” (1997), “Via della Pesa” (2003), “Come chi non torna” (2008).
Nella foto (di Vito Panico): Salvatore Ritrovato