Si è parlato di produzioni biologiche in conventi e monasteri, qualità della vita e benessere naturale nell’ambito del convegno “Bio Divino”, ospitato nel chiostro comunale di San Giovanni Rotondo in occasione di BITREL.
I lavori, presieduti da Matteo Di Mauro, segretario generale della Camera di Commercio di Foggia, sono stati aperti dal saluto dell’assessore al Turismo di San Giovanni Rotondo, Davide Pio Fini e moderati da Ignazio Garau, direttore dell’associazione “Città del Bio”.
Proprio Garau ha ricordato che il termine “qualità” va riempito di contenuti. Occorre cioè «che alla produzione biologica si accompagni un effettivo cambiamento della cultura ambientale. Se biologico significa “buono, pulito e giusto” è necessario che diventi una riscoperta della natura e una efficace risposta al fallimento del modello che ha investito negli ultimi tempi l’economia mondiale ». Ma per Garau l’Italia ha bisogno di credere di più alle potenzialità del biologico. «In Italia il biologico rappresenta un’esperienza positiva e la Puglia è una realtà molto interessante in questo senso, ma si continua a produrre molto “biologico” mentre i consumi non vanno di pari passo alla produzione. È necessario, quindi, uno sforzo perché ci sia un vero cambiamento nella cultura e nei consumi di prodotti biologici».
A San Giovanni Rotondo la produzione biologica trova una sua piena realizzazione grazie alle aziende agricole che fanno capo all’Immobiliare Casa Sollievo della Sofferenza che, come ha ricordato Carlo Gatta, direttore dell’Immobiliare, «da anni producono alimenti per l’ospedale e le altre strutture dell’Opera di Padre Pio». Gatta ha anche sottolineando come era stato lo stesso Padre Pio, a partire già dagli anni 50, a volere la “filiera corta” per il suo ospedale con lo scopo di «produrre materie prime di qualità per l’alimentazione degli ammalati, quale contributo più ampio al suo disegno di sollievo della sofferenza».
Oggi l’attività biologica di Casa Sollievo della Sofferenza si estende sui 71 ettari, con i suoi 12mila ulivi secolari, della Masseria Calderoso, e sugli oltre 200 ettari dell’Azienda “Posta la Via”, con i suoi circa 600 capi bovino e la produzione di latte, carne e prodotti caseari.
Il tema della produzione biologica all’interno di conventi e monasteri è stato trattato nei successivi interventi dei relatori.
Per padre Stefano della comunità monastica di Siloe, in Toscana, la produzione biologica «è un modo per ritrovare se stessi. La produzione di biologico è capacità di mettersi in relazione con gli altri. Non ha senso produrre sano se non sono in pace con il mondo e con gli altri». Per suor Antonella Schiavon, del monastero delle suore Evaristiane la produzione biologica «necessità di una programmazione tedesca, ma di una adattabilità tutta italiana» perché ci sono troppi fattori da tenere in considerazione, ma soprattutto grande specializzazione. «Non ci si può improvvisare produttori biologici. Occorre professionalità. Non comprendo», ha concluso suor Antonella, «perché uno si presenta come ingegnere, architetto o medico e non può presentarsi come bracciante agricolo o, semplicemente, contadino?».
Nel corso del convegno sono state poi rappresentate le varie esperienze di conventi, monasteri e comunità religiose in Italia. È il caso della Chiesa valdese di Milano, prima e per ora unica in Italia, ad aver aderito al percorso, che hanno compiuto molte chiese tedesche, denominato “Gallo Verde”, ovvero l’adozione di “linee guida teologiche e pratiche per la salvaguardia del creato”, in modo da far diventare le chiese protestanti “amiche dell’ambiente”.